L’assolo dell’algoritmo: perché i biglietti costano un botto
Dynamic pricing e industria musicale
Comincia tutto con gli OASIS: biglietti annunciati attorno a 150 sterline, ore di coda virtuale, e (sorpresa!) al momento buono la stessa tribuna “diventa” “in demand” sopra le 350 sterline. È successo davvero: prezzi pubblicizzati a 148,50 £ trasformati, per i più pazienti, in 355,20 £. È qui che milioni di fan hanno scoperto il termine tecnico del momento: dynamic pricing. Tradotto dal marketese: il prezzo non è un numero, è un algoritmo con l’umore ballerino. Il meccanismo in sé non è nuovo né diabolico: è la stessa logica di aerei e hotel, dove i prezzi salgono quando tutti vogliono partire a Ferragosto e scendono quando piove un martedì di novembre. La differenza è che nel settore travel esistono valvole di sfogo: puoi cambiare data, aeroporto, compagnia, quartiere; e chi prenota presto spesso spunta tariffe più basse. Con i biglietti “caldi”, invece, tutto è picco, subito: niente martedì piovosi, solo sabati di sold out. Chiamarlo dinamico quando manca l’off-peak è come parlare di dieta durante il cenone.
Cos’è, allora, il dynamic pricing? È la regola per cui il prezzo si muove con domanda e offerta, spesso in tempo reale: se tutti vogliono la stessa cosa, sale; se nessuno la vuole, scende. Nell’ospitalità è routine: i software macinano prenotazioni, tariffe dei concorrenti, eventi in città e perfino il meteo; il risultato sono oscillazioni anche multiple al giorno, con venerdì più cari di giovedì e capodanni che costano il doppio di una notte di gennaio. Durante l’Oktoberfest a Monaco, ad esempio, le tariffe medie sono balzate del 59% (da ~€261 a ~€416).
Perfido?
No, più semplicemente domanda capienza stadio e camere limitate nello spazio di pochi metri quadrati. E negli ultimi anni la “mente” di questi prezzi è diventata più sofisticata: modelli di machine learning che prevedono picchi, segmentano i clienti e reagiscono a ciò che fanno i concorrenti. È il modo con cui un’app viaggi decide se alzare o abbassare oggi, senza aspettare domani.
Nel live, però, oltre all’algoritmo c’è l’ecosistema. Ticketmaster (controllata da Live Nation) ha introdotto nel tempo formule “premium” e “platinum” che di fatto immettono sul mercato primario una quota di biglietti a prezzi più alti, spiegando ai team degli artisti che così si “sconfiggono i bagarini”. In realtà, quando la capienza (l’offerta) è fissa e il desiderio (la domanda) infinito, il confine tra anti-touting e moltiplicatore di incassi diventa sottile come una corda di chitarra: specialmente se i ricarichi avvengono dopo ore di attesa e a prezzi mai realmente disponibili a chi era in fila. La scelta finale, vale dirlo, è dell’artista e del promoter; ma incentivi e catena del valore contano.
Pro e contro? Dal lato “pro”, l’economista che è in noi ricorda che i prezzi che reagiscono alla domanda allocano meglio i posti: va dentro chi è disposto a pagare di più, si massimizza il surplus complessivo e (non è un dettaglio) si rendono appetibili nuovi show: se i Gallagher intuiscono ritorni adeguati, si aggiungono date. In teoria, quindi, dinamico = più disponibilità, meno lotterie a 20 € finite ai primi che passavano.
Anche i governi lo sanno, tant’è che quando scoppia la polemica promettono indagini e regole: la politica odia i saliscendi più del pubblico. Dal lato “contro”, ci sono tre effetti tossici. Primo, l’esperienza: se mi fai pagare il triplo alla fine della coda, mi sentirò raggirato anche se il manuale di microeconomia ti dà ragione. Secondo, l’equità percepita: non è pop assegnare i posti in base al reddito quando la cultura pop promette appartenenza. Terzo, il brand: la rendita di breve periodo può costare reputazione (e fedeltà) nel lungo.
Come uscire dal “Don’t Look Back in Anger” pricing? Alcune idee pratiche esistono: finestre early-bird davvero garantite (prezzo fisso, quantità trasparente), fan club con verifica forte e quote d’accesso che scremano bot e scalper, distribuzione per scaglioni chiari su più giorni, e (se proprio vogliamo essere dinamici) dinamica solo dopo aver dato una chance reale con il prezzo annunciato. L’industria travel insegna che la dinamicità funziona quando offre alternative e quando il “quando” conta quanto il “quanto”: se c’è sempre e per tutti almeno un martedì di pioggia, insomma, la gente accetta il sabato di sole. Concerti inclusi.ù
Il paper della settimana
Thompson, Dylan. "The evolution of ticket pricing strategies in the North American concert industry: evidence from two decades of data." Applied Economics (2025): 1-17.
Il paper studia come sono cambiate le strategie di prezzo dei biglietti nei concerti in Nord America, con focus sulla discriminazione di secondo grado (più prezzi per lo stesso evento: settori, pacchetti VIP, dinamica). Vengono analizzati dati Pollstar su 215.020 concerti di 12.303 artisti (1999–2019, USA/Canada), misurando ricavi, prezzi min/max, biglietti venduti in rapporto a capienza arena e differenze tra “superstar” e altri (classifiche Billboard).
I risultati evidenziano che nel tempo cresce sia l’uso della discriminazione sia l’ampiezza dello “spread” tra prezzi, trainata soprattutto dall’aumento del prezzo massimo dopo il 2015 (VIP e/o dynamic pricing). Le superstar discriminano quasi sempre e in modo più intenso; la loro capacità di fare sold out è aumentata, quella delle non-superstar no.
L’analisi econometrica mostra che, in media, usare più fasce di prezzo si associa a ricavi maggiori di ~1,5%; per le superstar il premio sale a ~10%. Per gli artisti di fascia media non cambia la quota di biglietti venduti; per le superstar, invece, aumenta. Uno spread più ampio tra prezzi si lega a ricavi più alti (elasticità ~0,017) e a un lieve calo della capacità di ottenere un sold out per le non-superstar, mentre per le superstar la capacità cresce. Possiamo parlare in modo affidabile di causalità lato ricavi mentre per la capacità di riempire gli stadi l’evidenza è puramente a livello di correlazione.
L’implicazione è interessante: la discriminazione di prezzo conviene soprattutto ai top artists; la dinamica può aiutare a massimizzare insieme ricavi e riempimento degli stadi.
Il grafico della settimana
Fonte: The Economist su dati Pollstar
La citazione della settimana
I just like having fun (Katy Perry)




